Quando la puntina tocca il 33 giri la stanza inizia a colorarsi di jazz. Nino volta lo sguardo verso di me e sorride. È così affascinante in camicia e jeans. Ricambio il sorriso. Ci frequentiamo da qualche mese nonostante sia fidanzato con Greta. Ci incontriamo quasi sempre a casa sua in centro, lo facciamo quando Greta parte per lavoro. Lui prepara le pizze o due focacce ripiene e io porto le birre e qualche LP. Tra milioni di parole dissetanti e le note di una canzone e l’altra finiamo sempre per fare l’amore per terra sul tappeto, sul divano o sul bancone della cucina.
Stasera è una di quelle sere. L’atmosfera è intrisa di domande di cui sappiamo già la risposta, di dolcezza e d’amore innocente. Il ritmo improvvisato del jazz ci culla come neonati in braccio alla mamma ed esaudisce i nostri desideri più reconditi. Che abbiamo sogni in comune io e lui l’abbiamo sempre saputo. Mentre ci avviciniamo con i corpi desiderosi le anime iniziano a baciarsi prima che le bocche lo facciano davvero. Ci stringiamo per paura di perderci, ci respiriamo per la voglia di viverci.
Quando Greta rientra in casa dopo aver perso il treno per Venezia, John Coltrane con il suo quartetto sta suonando dal vivo nel salone. Avvinghiati in un turbinio di suoni ed emozioni e sedotti dai colori del jazz io e Nino non ci accorgiamo della sua presenza.
La porta sbatte e una colpa ci macchia entrambi. Una macchia indelebile che fa male come artigli nella carne. Una ferita che solo un altro pezzo di John Coltrane può far smettere di sanguinare.